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(Crisi di liquidità, stato di necessità e cause di forza maggiore)

omesso versamento iva

di Marta e Mauro Rossinelli

Settembre 2022

L’omesso versamento dell’IVA è disciplinato dall’art. 10 ter del D.Lgs 10 marzo 2000 n.74, sebbene il contenuto di tale articolo sia stato oggetto di numerosi interventi normativi, anche molto recenti.

Questo reato, senza ulteriori specifici  interventi, rischia di coinvolgere nel prossimo futuro una infinità di aziende, non solo di piccole dimensioni, per effetto della crisi pandemica, dell’incremento indiscriminato dei prezzi delle materie prime e dei servizi  e della crisi energetica.

Temendo quindi che il reato di omesso versamento IVA possa diventare molto più frequente che nel passato, ci pare importante sviluppare alcune riflessioni tenendo conto della fonte originaria della norma e delle successive variazioni, compresi alcuni rilevanti interventi della Cassazione.

L’originario reato di “omesso versamento dell’IVA” contenuto nella prima formulazione dell’art 10 ter del D.Lgs 74/2000 è stato integrato dal concetto di “consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti” e  assimilato, sotto il profilo sanzionatorio, a quello del sostituto di imposta che omette il versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti.

In forza di questo nuovo “concetto”, assumono particolare rilevanze le cause per le quali l’imprenditore ha omesso il versamento dell’IVA.

Val la pena, prima di procedere oltre, richiamare il contenuto dell’art.  10 ter D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, così come  sostituito dall’art. 8, comma 1, D.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, che,  pur mantenendo inalterato il titolo della rubrica “Omesso versamento di IVA”, viene così modificato: “È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta”.

Sono quindi evidenti tre aspetti:

  1. L’ammontare dell’imposta non versata: euro 250.000 per ciascun periodo di imposta;
  2. Il momento in cui il mancato versamento diventa reato: scadenza del pagamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo in base alla dichiarazione annuale presentata;
  3. La pena: reclusione da sei mesi a due anni.

Al fine della consumazione del reato, è anche necessario che la quantificazione dell’imposta non versata risulti dalla dichiarazione annuale.

Tornando alle cause, è necessario, a parere di chi scrive, aver ben chiaro il significato e la portata dei vari concetti (crisi di liquidità, causa di forza maggiore  stato di necessità).

Crisi di liquidità

Una delle situazioni più frequenti è, purtroppo, la crisi di liquidità che da genera il  conseguente dubbio circa la  punibilità o meno del reato di omesso versamento IVA.

Fino all’entrata in vigore del Codice della Crisi di Impresa e dell’Insolvenza ( (D.lgs 12.01.2019, n. 14 integrato del D.Lgs 17.06.2022 n. 83), entrato in vigore lo scorso 15 luglio, il concetto di “crisi di liquidità” era un concetto estremamente labile che si prestava ad abusi e distorsioni.

Il C.C.I.I. circoscrive il concetto di “crisi” (art. 2, comma 1, lettera a) – lo stato di squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate) e di “insolvenza” (art. 2, comma 1, lettera b) – lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni).

Tali concetti traggono ancora più  forza dal collegamento con il contenuto dell’art. 3  rubricato “adeguatezza delle misure e degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi di impresa”.

In altri termini, considerato che l’imprenditore è onerato dall’obbligo di dotarsi di un adeguato assetto organizzativo per la tempestiva rilevazione (quindi per la prevenzione) dell’insorgere della crisi, la carenza di liquidità derivante dalla carenza organizzativa, non giustifica – da sola – il mancato versamento dell’IVA.   

Già, comunque, la Corte di Cassazione aveva escluso ogni rilevanza dello stato di dissesto dell’impresa ai fini dell’omesso versamento IVA (“Lo stato di dissesto dell’imprenditore il quale prosegua ciononostante nell’attività d’impresa senza adempiere all’obbligo previdenziale e neppure a quello retributivo non elimina il carattere di illiceità penale dell’omesso versamento del contributi. Infatti i contributi non costituiscono parte integrante del salarlo ma un tributo, in quanto tale da pagare comunque ed in ogni caso, indipendentemente dalle vicende finanziarie dell’azienda. Ciò trova la sua “ratio” nelle finalità, costituzionalmente garantite, cui risultano preordinati i versamenti contributivi e anzitutto la necessità che siano assicurati i benefici assistenziali e previdenziali a favore del lavoratori. Ne consegue che la commisurazione del contributo alla retribuzione deve essere considerata un mero criterio di calcolo per la quantificazione del contributo stesso” (Corte di Cassazione sentenza 13 settembre 2013, n. 37528).

Secondo questa impostazione, ogni qualvolta l’imprenditore pone in essere una operazione commerciale,  riscuote dal proprio cliente  l’IVA esposta nel documento fiscale; dovrebbe quindi l’imprenditore  tenerla accantonata per il successivo versamento  all’Erario, organizzando le risorse disponibili  in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale.  

Ora,  è pur vero che non vi è nessuna norma che impone di accantonare la somma ricevuta che da origine al successivo versamento   e che il reato prende forma allorquando  non vengono versate le somme dovute in base alla dichiarazione IVA per l’anno di imposta di riferimento entro il termine per il pagamento dell’acconto per l’anno di imposta successivo, ma  “la scelta di accantonare la somma, che il contribuente ha ricevuto in controparte dell’operazione commerciale, costituisce scelta prudenziale, nel senso che onera il contribuente del rischio del mancato versamento alla scadenza del termine per l’adempimento dell’obbligazione tributaria; termine che, riferito all’anno di imposta successivo, costituisce il momento consumativo del reato” (Corte di Cassazione, sezione penale, sentenza 21 maggio 2019, n. 30688).

In quest’ottica,  l’omesso versamento dell’IVA viene considerato frutto della scelta volontaria e discrezionale dell’imprenditore, il quale, pur avendo le risorse ed essendo stato provato che l’IVA da versare era entrata nelle disponibilità dell’imprenditore, lo stesso  ha scelto di pagare altri creditori.

Solo quindi l’imprenditore che dimostra che la propria crisi di liquidità discende dalla mancata riscossione di crediti commerciali  può ottenere l’ esimente dal reato.

Lo stato di necessità

Lo stato di necessità, in senso lato, rientra tra le cause oggettive di esclusione dal reato.  L’art. 54 del codice penale prevede, tuttavia, che tale causa operi solo nell’ipotesi di “necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”.

E’ quindi ipotizzabile per l’imprenditore, ad esempio,  invocare lo “stato di necessità” destinando l’IVA da versare al pagamento delle retribuzioni ai propri dipendenti?

La risposta è: no.

Sul punto è intervenuta a più riprese la Cassazione, che fornendo una interpretazione estremamente rigorosa, ha stabilito che “ deve escludersi la sussistenza della scriminante dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p., quando le obbligazioni tributarie siano rimaste inadempiute per l’esigenza di far fronte, prioritariamente, alle obbligazioni di pagamento delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, in quanto la norma codicistica esclude la punibilità per chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona inteso quale lesione dei soli beni morali e materiali che costituiscono l’essenza stessa dell’essere umano, come la vita, l’integrità fisica (comprensiva del diritto alla salute), la libertà morale e sessuale, il nome, l’onore, ma non riferibile a quei beni che, pur essendo costituzionalmente rilevanti, contribuiscono al completamento ed allo sviluppo della persona umana, con la conseguenza che, pur dovendosi affermare che il diritto al lavoro è costituzionalmente garantito e che il lavoro contribuisce alla formazione ed allo sviluppo della persona umana, deve escludersi, comunque, che la sua perdita costituisca, in quanto tale, un danno grave alla persona sotto il profilo dell’art. 54 c.p.”. (Corte di Cassazione penale, sez. III, sentenza 19 febbraio 2015 n. 7429).

Per la Corte, quindi, il pagamento delle retribuzioni ai  dipendenti, privilegiandoli  al Fisco,  risponde ad a una precisa scelta imprenditoriale, costituendo, semmai,  la prova inequivocabile del dolo del reato che è  rappresentata proprio dalla consapevole scelta di non pagare il tributo (in tal senso anche la sentenza  n. 2725 del 1 ottobre 2020  della III sezione penale).

Causa di forza maggiore.

Anche per questa fattispecie di ipotesi si deve far riferimento al codice penale;  in particolare all’art. 45 il quale prevede che “Non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o forza maggiore” .

Nell’ambito tributario e nello specifico caso dell’omesso versamento IVA, la “causa di forza maggiore”  potrebbe essere riconosciuta solo se le motivazioni che impediscono l’adempimento, comunque emerso nel più ampio ambito della crisi di liquidità, siano imputabili a “colpa altrui”.

La forza maggiore è la cosiddetta vis maior cui resisti non potest, cioè quel fattore esterno che obbliga la persona a compiere un’azione cui questa non può opporsi.

La forza maggiore prevede  quindi la totale assenza della volontà del contribuente a  determinare l’impedimento che da origine all’omissione del versamento.

E’ il caso, ad esempio, dell’improvviso e perdurante black out elettrico o della rete internet, su vasta scala, che impedisce ogni qualsiasi operazione.   

L’onere della prova è a carico del contribuente, che dovrà dimostrare l’effettiva impossibilità di adempie al pagamento per cause ad esso non imputabili.

La questione dell’omesso versamento IVA è quanto mai attuale nel  generale contesto odierno.

E’ quindi invocabile la “causa di forza maggiore” per l’omesso versamento IVA  dalle aziende che, causa covid,  hanno dovuto sospendere per lunghi periodi le proprie attività produttive?  

In tale ipoetsi, al netto degli interventi governativi volti a contenere le conseguenza sfavorevoli sull’economia nazionale, considerato che la pandemia è un evento imprevedibile, anche sulla scorta di una recente pronuncia della Cassazione, al fine di avvalersi del disposto dell’art.45 del codice penale, potrebbe essere opportuno predisporre una accurata relazione nella quale documentare puntualmente l’accaduto (tempi di chiusura, cause circa l’impossibilita di consegnare i propri prodotti, mancate riscossioni, ecc.) e le concrete azioni assunte per fronteggiare la crisi e per il reperimento delle somme necessarie  all’adempimento erariale.

Si riporta, a tal proposito, la sintesi della sentenza 14 dicembre 2020, n. 35696, della Corte di Cassazione – sezione 3 penale).

la difesa non si è limitata ad asserire l’esistenza di una pregressa crisi di impresa, ma ha allegato elementi che avrebbero dovuto essere valutati ai fini di accertare l’entità di tale crisi, le cause della stessa, e l’impossibilità di superarla tramite il ricorso ad idonei strumenti. La prospettazione del ricorrente si basa, infatti, su elementi decisivi non presi in considerazione dalla Corte d’appello, pur a fronte di specifiche e argomentate doglianze formulate con l’atto di appello. La Corte territoriale si è infatti limitata ad affermare che l’Iva avrebbe dovuto essere versata, in quanto risultante dalle relative dichiarazioni, nonostante le precarie condizioni economiche aziendali, senza considerare che, nella prospettazione difensiva, assumeva rilevanza la testimonianza del consulente fiscale della società, da cui risultava – tra l’altro –  che vi erano numerosi crediti non incassati, al fine di accertare l’eventuale portata della crisi d’impresa, nonché  di chiarire le ragioni della cessazione dell’attività, del ricorso alla procedura di concordato per la ristrutturazione del debito, del successivo fallimento. E anche il tentativo che l’imputato afferma di aver effettuato con le banche di giungere ad un accordo transattivo, con la prestazione di garanzie personali, avrebbe dovuto essere preso in considerazione, quanto meno allo scopo di valutare la sussistenza di una reale impossibilità di superare la crisi, non imputabile all’imputato stesso.”

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