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In periodi di pandemia la possibilità di vedersi stralciate le cartelle per prescrizione può essere rivelarsi un aiuto finanziario non trascurabile per tante aziende che soffrono la pandemia. Su questo versante però è necessario fare riferimento alla tendenza …

dell’indebolimento del principio della indisponibilità del credito erariale.  L’apertura normativa verso una disponibilità condizionata dell’obbligazione tributaria, ci può indurre a pensare che la prassi giurisprudenziale prima e le cosiddette best practice, poi, daranno materialità alle ultime norme (nuovo 182 ter L. F., art. 12 c. 3 quater legge 3/2012).

Nonostante le nuove tendenze ci corre l’obbligo di ritornare sul concetto di esigibilità del tributo da parte dell’amministrazione finanziaria, in base agli atti posti in essere da quest’ultima per far valere il proprio diritto alla percezione delle somme dovute da parte del contribuente.

Il tributo non regolato nei tempi prescritti come e noto viene rilevato nei ruoli emessi dalla agenzia delle entrate e trasmessi all’agenzia entrate e riscossione  la quale attraverso l’emissione della cartella esattoriale, quale atto amministrativo con funzione di precetto, chiede il pagamento di quanto dovuto.

Gli aspetti temporali che intercorrono tra l’emissione del documento di pagamento e l’effettuazione dello stesso o la data in cui l’agente della riscossione aziona gli strumenti coattivi per la percezione di quanto dovuto, assume grande rilevanza. Infatti negli ultimi anni sono stati chiamati a decidere diversi giudici tributari e la suprema Corte di Cassazione su quale termine prescrizionale fosse applicabile al documento amministrativo “cartella esattoriale” nella sua qualità di mezzo di pagamento del tributo.

Il problema sorge in quanto la norma prevede due termini prescrizionali, ossia quel termine trascorso il quale il diritto non può essere più vantato, quindi si estingue, uno quinquennale o prescrizione breve, e l’altro decennale. Ovviamente le condizioni dei due termini rispondono a precise norme.

La prescrizione decennale ([1]) deriva dalla cosiddetta conversione della prescrizione quinquennale ed è applicabile solo laddove il diritto di credito sia divenuto definitivo in seguito ad una pronuncia giudiziaria passata in giudicato, in difetto si applica la prescrizione breve quinquennale.

Il giudice tributario è intervenuto nel 2017 ([2]) e nel 2018 ([3]) in entrambi i casi è stato dichiarato prescritto il tributo applicando il termine quinquennale della prescrizione e l’agente della riscossione decaduto dal diritto di riscossione.

Ovviamente sia in dottrina che in giurisprudenza vi sono almeno due orientamenti sul tema. quello maggioritario, che considera la cartella quale atto amministrativo priva dell’attitudine ad acquisire efficacia di giudicato in quanto, solo con la sentenza di condanna passata in giudicato, il diritto alla riscossione di un’imposta, conseguente all’accertamento divenuto definitivo di cui all’articolo 24 del dlgs n. 46/1999 diventava soggetto al termine di cui all’articolo 2953 codice civile.

Altro filone, minoritario questo, sancisce che lo spirare del termine per opporsi alla cartella è da considerarsi alla stregua di un atto giudiziario e quindi si verifica quanto prescritto dal suddetto articolo 2953 del cod. civ.

In realtà però questo termine ancorché perentorio è utile e necessario per proporre opposizione alla cartella di pagamento ed il mancato suo esercizio determina la decadenza ossia produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito erariale o contributivo senza determinare anche la cosiddetta “conversione” del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale. Tale ultima disposizione si applica soltanto nell’ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo ([4])

I diversi interventi del giudice tributario hanno interessato la maggior parte dei tributi erariali, nonché i tributi locali ([5]), sulla stessa linea sono state le pronunce della  Suprema Corte di Cassazione ([6]) la quale ha sancito definitivamente l’applicabilità anche alle pretese tributarie erariali (Irpef, Iva, Ires etc) del termine di prescrizione quinquennale entro cui esercitare il diritto alla riscossione delle relative somme.

I problemi interpretativi sorgono per i tributi erariali per quanto riguarda il termine di prescrizione breve anche se l’art. 2948 del codice civile includendo in questa fattispecie l’Iva e l’Irpef per le quali il contribuente presenta annualmente la dichiarazione fiscale e normalmente versa le relative imposte ratealmente attraverso il comportamento concludente, ossia senza dover presentare alcuna istanza autorizzativa.

Fino a pochi mesi or sono poteva ritenersi in ogni caso definitivamente chiara e conclusa la vicenda così come sancito dalla Corte di Cassazione ([7]) l’applicazione acritica del termine di prescrizione decennale proprio dei soli provvedimenti giudiziari divenuti definitivi ex art. 2953 cod. civ. Ciò vuol dire che la cartella esattoriale, anche se notificata e non impugnata non può mai essere paragonata ad un provvedimento giudiziale e non acquista la cosiddetta efficacia di giudicato ([8]).

Rimane da dirimere il problema della competenza del giudice a giudicare sulla prescrizione, ma anche su questo punto una recente sentenza della Cassazione ([9]) la quale conferma che è il giudice ordinario a dover giudicare successivamente alla notifica della cartella di pagamento in merito all’attualità del diritto dell’ente creditore e non il giudice tributario.

Ma lo scorso 23 marzo la sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione ([10]) ritornava sull’argomento e con argomentazioni puntuali e partendo da un assunto logico ed in parte sopra riportato. La scadenza del termine perentorio per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito, ma non anche la conversione del termine di prescrizione da quinquennale in ordinario decennale. Tale termine si applica, come detto sopra, solo nel caso in cui intervenga un titolo giudiziale, riprendendo la tesi di principio statuita nel 2016 ([11]).

Ma la Corte si spinge oltre e basa la sua tesi su alcune sentenze, per la maggior parte antecedenti a quella del 2016 ([12]) e nessuna di queste emessa dalle sezioni unite, che di fatto introducono un principio distintivo rispetto a quella del 2016. Queste sentenze, secondo l’ordinanza del 2021, stabiliscono che “non tutti i crediti tributari hanno una prescrizione più breve di quella ordinaria, anzi è vero il contrario: “il credito erariale per la riscossione dell’imposta è soggetto non già al termine di prescrizione quinquennale previsto dell’articolo 2948 n. 4 del cod. civ., per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi, bensì all’ordinario termine di prescrizione decennale di cui all’articolo 2946 codice civile, in quanto la prestazione tributaria, attesa l’autonomia dei singoli periodi di imposta delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi”.

È evidente che questa impostazione scardina i principi fissati nel 2016 e ne fissa uno nuovo, ossia: i crediti di imposta sono in via generale soggetti alla prescrizione ordinaria decennale, i crediti contributivi previdenziali sono soggetti alla prescrizione quinquennale in quanto vi è una previsione specifica di legge.

Mentre le sanzioni e gli interessi in quanto accessori alla sorte capitale sono sottoposte al termine prescrizionale quinquennale come fissato dall’articolo 2948 codice civile.

Quindi l’intervento del 23 marzo della suprema corte ha scompaginato il principio ormai ritenuto dominante fissato dalla sentenza 23397/2016. I professionisti ed i contribuenti a questo punto preferirebbero un ulteriore pronunciamento delle sezioni unite al fine di uniformare le troppe interpretazioni sull’argome

[1] Art. 2953 CC – “I diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizioni più breve 10 anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di 10 anni”.

[2] CTR Toscana, Sez. V, Sentenza n. 2224 del 17/10/2017

[3] CTR Roma, Sentenza,  276 del 18/01/2018

[4] Cass. Ordinanza Sez. Civ. L 8960 del 31/03/21

[5] CTP Avellino, Sentenza n. 267/2017, CTR Catanzaro Sentenza n. 173/16, CTP.

[6] Cass. Sentenza n. 930/2018.

[7] Cass. Sez. Unite Sent. 23397 del 18/11/16.

[8] In un’ordinanza del tribunale di Napoli Nord queste tesi sono state accolte dal Giudice delegato in un accordo di composizione della crisi ex art. 10 della L. n. 3 del 27/01/2012 come modificata dalla legge di conversione del D.L. n. 179/12 dalla legge n. 222/12.

[9] Cass. Sez. Unite Sent. 34447/2019 – Le sezioni unite hanno statuito “quando, invece, la cartella sia stata notificata nella relativa pretesa tributaria competente a giudicare è il giudice ordinario, quale giudice dell’esecuzione, cui spetta l’ordinaria verifica dell’attualità del diritto dell’ente creditore di procedere all’esecuzione forzata”.

[10] Cass. Sesta sez. Civile – T ordinanza 8120/21

[11] Cass. Sez. Un. 23397/2016

[12] Cass. 24322/2014, 22977/2010, 2941/2007 e 16713/2016

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